Conferenza Fao sulla sicurezza mondiale alimentare: le sfide del cambiamento climatico e delle bioenergie.

AFRICA FORUM: DARE VOCE ALLE ORGANIZZAZIONI DEI CONTADINI, DEI PRODUTTORI AGRICOLI E ALLE CONOSCENZE TRADIZIONALI.

Roma 4/6/08.

Nell’ambito della conferenza FAO l’Africa Forum ha fatto il punto sulle risposte indispensabili alla sussistenza vitale dell’agricoltura africana in rapporto alla sfida del cambiamento climatico e delle bioenergie. Il Forum, introdotto da Alexander Muller assistente del direttore generale della FAO e coordinato da Jean Philippe Audinet dell’IFAD, ha visto la partecipazione di importanti organizzazioni contadine africane, di ONG internazionali e rappresentanti governativi di tutto il mondo ed ha costituito un momento di riflessione sulle sfide della agricoltura in Africa e in tutti i continenti. I relatori hanno posto l’accento sul fatto che l’agricoltura africana e la conoscenze tradizionali possono fornire un contributo fondamentale alla produzione di cibo incentivando e aiutando i piccoli produttori agricoli e salvaguardando il patrimonio di identità e di diversità biologica e culturale insito nella sapienza locale.

Pietro Laureano coordinatore di IPOGEA invitato dalla FAO come Organizzazione Non Governativa ha presentato la proposta portata avanti dalla Regione Toscana, la UNCCD e l’UNESCO di creazione a Firenze della Banca Mondiale delle Conoscenze Tradizionali (www.tkwb.org) . Nel suo intervento ha detto:

Il cambiamento climatico non è un fenomeno nuovo in Africa e nel mondo. Fino dagli albori dell’agricoltura i coltivatori hanno dovuto fronteggiare l’imprevedibilità e dell’ambiente e la variabilità del clima. Proprio queste condizioni hanno forgiato conoscenze adatte localmente capaci di rispondere alle avversità con tecniche appropriate di captazione e di distribuzione idrica, di protezione dei suoli, di riciclo e di usi ottimali dell’energia. Queste tecniche costituiscono un serbatoio straordinario di diversità biologica e conoscenze sostenibili.

Tuttavia è la prima volta nella storia del pianeta che il cambiamento climatico avviene a causa dell’intervento umano ed è accompagnato da due fattori che rendono difficile una risposta.

Il primo fattore è il tempo. La rapidità dei processi innescati impedisce l’adattamento graduale naturale e culturale che permetteva l’adeguamento progressivo alle nuove condizioni.

Il secondo fattore è lo stato di degrado delle condizioni fisiche e sociali. I suoli sono stremati dalla agricoltura industriale e dalla urbanizzazione massiccia. Le culture sono svuotate dalla emigrazione, la povertà e la perdita di identità.

L’agricoltura industriale ha prodotto grandi superfici destinate alla monocoltura e sostenute da irrigazione e fertilizzazione artificiale, diserbanti e pesticidi. Ha così distrutto quel paesaggio a mosaico fatto di terrazzamenti, muri a secco, varietà coltivate, filari di alberi, drenaggi che garantiva la protezione dei suoli e la conservazione dell’acqua. L’urbanizzazione ha svuotato le aree montane eliminando i presidi umani all’erosione e determinato vaste superfici cementificate sulle coste e le pianure ostacolo all’assorbimento dell’acqua nelle falde. Le estremizzazioni climatiche hanno così un effetto devastante innescando la desertificazione fisica e culturale.

Senza una chiarezza su questi temi si rischia che la conferenza della FAO ottenga l’effetto contrario al voluto e cioè il rilancio della iper produttività agricola e della industrializzazione nella agricoltura che sono causa e non soluzione del problema: non bisogna produrre per i poveri, ma permettere ai poveri di produrre.

Ogni giorno la morte di un vecchio, l’abbandono di un villaggio da parte di un contadino, l’emigrazione in città di un ragazza determina la scomparsa di una biblioteca di conoscenze locali  indispensabili a fronteggiare le nuove sfide. Per questo la proposta di una Banca delle Conoscenze Tradizionali che inventari e condivida liberamente le tecniche appropriate e il loro uso innovativo. Occorre dare dignità e ruolo alle conoscenze tradizionali che non sono reminiscenze del passato o di folclore, ma costituiscono il sistema della scienza locale. Ascoltare la voce dei luoghi, garantire la salvaguardia dei paesaggi non è un esercizio culturale o estetico, significa impegnarsi per un’agricoltura sostenibile indispensabile a garantire la vita e la sicurezza alimentare a tutti gli esseri viventi”.

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